“Sehnsucht” è una parola-chiave dello spirito romantico tedesco, che incarna un concetto tipico della cultura romantica, reso in italiano come “dipendenza dal desiderio”. Heidegger, invece, ne individua un diverso significato, poiché Sucht è da intendere nel suo significato originario come “dolore”: “La nostalgia (Sehnsucht) è il dolore della vicinanza del lontano” (Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e discorsi, Mursia, p.71).
“Sehnsucht” significa desiderare di raggiungere il limite che lo divide dal prossimo di scovarlo, di mostrarlo, di toccarlo. Corpi soli ma dipendenti che indagano, in uno spazio comune, i propri limiti in relazione al corpo, allo spazio, al tempo e all’altro. I danzatori entrano all’interno di un sistema di movimento in cui ogni elemento delinea le coordinate di partiture coreografiche caratterizzate da direzioni insolite, accelerazioni, sospensioni, cadute, equilibri e interruzioni di dinamica.
La musica, composta appositamente per la performance da Filippo Ripamonti, ha il ruolo di definire lo spazio creato dai danzatori, anche attraverso l’utilizzo di riverberi e tracciamento delle fonti. La musica si espande fino a rompere questi confini con una musica antropomorfa, non più legata alla distanza tra le molecole ma alla distanza tra le persone.
La creazione cerca di andare oltre il contenitore coreografico stesso, in una composizione istantanea, diversa ad ogni ripetizione. I danzatori entrano in una partitura di coordinate spaziali e temporali, con un vocabolario di movimento a cui attingere di volta in volta per scrivere una nuova relazione, una nuova coreografia, alla ricerca del contatto con l’altro, della riconciliazione, dell’unione.
Il flusso coreografico in cui si immergono gli interpreti si evolve e lentamente svela le relazioni interne, in una messa in discussione del limite, che li costringe all’attenzione costante verso il gruppo, al cambiamento, alla reazione istantanea.
In questo sistema i corpi si cercano, si trovano ed esplorano di nuovo il contatto, un nuovo modo di vivere la relazione in cui il pubblico si riconosce, vivendo con speranza e bramosia l’atto performativo.